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Calcolo delle pensioni dei militari di fronte alla Corte dei conti: quale aliquota si applica ai pensionati soggetti al sistema “misto” con più di venti anni di anzianità?

Calcolo delle pensioni dei militari di fronte alla Corte dei conti: quale aliquota si applica ai pensionati soggetti al sistema “misto” con più di venti anni di anzianità?

La seconda Sezione di appello della Corte dei conti si è pronunciata con una recente sentenza (n. 370 del 18 ottobre 2019) su una questione relativa alla quantificazione delle pensioni militari, che negli ultimi anni viene esaminata di frequente dal giudice contabile, sia nelle sezioni regionali (di primo grado) che nelle sezioni centrali di appello.

La questione riguarda un dettaglio piuttosto tecnico, com’è inevitabile in materia pensionistica: le modalità di calcolo delle pensioni soggette al cd. “sistema misto”, ossia con una quota – fino al 31 dicembre 1995 – soggetta al metodo retributivo ed una – per il periodo successivo – al contributivo.

L’interpretazione di tale dettaglio può avere però un impatto significativo sull’importo dei corrispettivi dovuti ai militari in pensione secondo tale sistema, in quanto titolari di un’anzianità inferiore ai diciotto anni a fine 1995.

La giurisdizione della Corte dei conti in materia pensionistica e il regime delle pensioni militari

La Corte dei conti è il giudice cui è costituzionalmente attribuita la giurisdizione in materia di contabilità pubblica, oltre che nelle altre materie individuate dalla legge e comunque attinenti alla sfera della spesa dello Stato e delle pubbliche amministrazioni in generale.

La giurisdizione della Corte dei conti, in quest’ottica, comprende anche il contenzioso relativo alle pensioni erogate a dipendenti pubblici e militari, secondo le norme del recente “codice di giustizia contabile” (d.lgs. n. 174/2016).

Sul piano sostanziale, le peculiarità che caratterizzano l’attività del personale militare giustifica l’esistenza di regole ed istituti speciali rispetto alla pensione degli (ex) dipendenti pubblici di settore “civile” e ovviamente rispetto a dipendenti privati. Ad esempio, si applica un particolare trattamento pensionistico per il regime cd. di “ausiliaria”, ossia – in termini generali – il collocamento dei militari che cessano dal servizio per raggiungimento del limite d’età previsto per il grado rivestito.

Tra le numerose disposizioni speciali che riguardano il regime pensionistico dei militari, alcune sono contenute nel d.P.R. n. 1092/1973 (“Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato”). Questo decreto contiene diverse disposizioni tuttora applicabili alle pensioni calcolate secondo il metodo “retributivo” (ossia, semplificando, basandosi sulla retribuzione goduta dal lavoratore, in particolare negli ultimi anni di carriera) e per la parte soggetta al metodo retributivo delle pensioni calcolate con il sistema “misto” (che comprende invece, come già accennato, una parte calcolata secondo il metodo retributivo ed un’altra secondo il contributivo, ossia sulla base dei contributi effettivamente versati nell’arco della carriera).

Proprio l’interpretazione di una disposizione del d.P.R. n. 1092/1973 – in particolare, l’articolo 54 – è al centro del contrasto su cui si è pronunciata anche la sentenza in esame.

L’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973 e l’interpretazione dell’INPS

L’art. 54, primo comma, del d.P.R. n. 1092/1973 prevede che “[l]a pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile[…]”. Il secondo comma dello stesso articolo dispone invece che “[l]a percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo. Si tratta dunque di una previsione speciale per il personale militare, risalente ovviamente ad un periodo in cui il regime pensionistico per i dipendenti pubblici era fondato unicamente sul sistema retributivo, che permette di applicare la stessa aliquota (44%) fin dai quindici anni di anzianità. Sicuramente una previsione di favore rispetto alla regola generale valida per i dipendenti dello Stato “civili”, contenuta all’art. 44 dello stesso Testo unico, secondo cui “la pensione spettante al personale civile con l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo è pari al 35 per cento della base pensionabile”.

L’INPS ha però finora interpretato la previsione dell’art. 54 come limitata ai soli militari che abbiano interrotto la propria carriera prima dei venti anni di servizio utile (quindi con una carriera relativamente breve), escludendo invece l’applicazione dell’aliquota del 44% prevista dalla norma per i militari soggetti al sistema “misto” con quindici anni di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 – data fino cui si applica il sistema retributivo – che abbiano successivamente proseguito la propria carriera oltre i venti anni di anzianità.

L’interpretazione data dall’INPS determina sostanzialmente l’applicazione di un’aliquota minore e sfavorevole per gran parte dei militari soggetti al sistema “misto” (quindi con un’anzianità inferiore ai diciotto anni a fine 1995). L’INPS infatti calcola la quota di pensione soggetta al retributivo di tali militari applicando la frazione percentuale annua dell’aliquota del 35% prevista dal citato art. 44 del Testo unico per i dipendenti civili, agli anni di anzianità raggiunti fino al 31 dicembre 1995, anche quando questi sono uguali o superiori a quindici.

Le pronunce della Corte dei conti e la recente sentenza della seconda sezione centrale

L’interpretazione dell’INPS è stata ben presto oggetto di numerosi ricorsi alla Corte dei conti, la quale si è pronunciata sulla questione con diverse sentenze delle sezioni regionali (giudice di primo grado) e alcune sentenze della sezione centrale di appello.

Se in un primo momento le pronunce della Corte dei conti hanno confermato l’interpretazione dell’INPS respingendo dunque i ricorsi presentati, ormai da diversi mesi risulta prevalente un orientamento favorevole ai militari ricorrenti: diverse sentenze delle sezioni regionali di primo grado e delle sezioni centrali di appello hanno infatti riconosciuto l’incoerenza dell’impostazione dell’INPS, che pretende di applicare ai militari una disposizione (l’art. 44 del Testo unico) espressamente prevista per i dipendenti civili e di escludere i militari con più di venti anni di anzianità dall’applicazione di una disposizione (l’art. 54) che prevede espressamente tale anzianità al comma 2 già citato sopra.

La sentenza della seconda sezione n. 370/2019 segue tale ultimo orientamento e ribadisce l’applicazione dell’art. 54 al caso di un dipendente dell’esercito soggetto al sistema misto: la Corte afferma che l’art. 54 non è una norma speciale in quanto definisce “gli ordinari criteri di calcolo della pensione per la generalità dei militari” e dunque deve trovare applicazione anche nel caso in cui i militari abbiano più di venti anni di anzianità.

La sentenza citata si pone in continuità con altre pronunce delle sezioni centrali di appello (Sez. I App., n. 422/2018; Sez. II App. n. 205, n. 208, n. 308, n. 310 del 2019) e critica invece una pronuncia della terza Sezione (n. 175/2019) che non ha considerato adeguatamente l’orientamento prevalente espresso dalle precedenti sentenze delle Sezioni centrali di appello.

La pronuncia della Corte dei conti sembra ritenere, inoltre, che l’aliquota del 44% debba essere presa come riferimento anche per il calcolo dell’aliquota della parte retributiva dei militari che non hanno raggiunto i quindici anni di anzianità al 31 dicembre 1995: mentre l’INPS in tali casi calcola un’aliquota proporzionale per gli anni effettivi di anzianità a tale data prendendo come base di calcolo il 35% previsto dall’art. 44 del Testo unico (con aliquota di rendimento annua pari al 2,33%), l’impostazione derivante dall’orientamento in esame della Corte dei conti  implica di prendere come riferimento il 44% previsto dall’art. 54 (che porta ad un’aliquota annua del 2,93%) anche per chi non ha raggiunto i quindici anni di anzianità a fine 1995. Ad un militare in tale condizione, ad esempio, è stata riconosciuta l’applicazione dell’aliquota annua più favorevole nella recente sentenza della Sezione giurisdizionale per la Sardegna n. 270/2019.

Una possibilità per i pensionati militari soggetti al sistema misto

Le conclusioni della sentenza qui presa in esame sono state ritenute applicabili a diverse categorie di pensionati appartenenti al “personale militare”, come ad esempio gli appartenenti all’Esercito Italiano, i carabinieri, i vigili del fuoco, i dipendenti della Guardia di Finanza.

Qualche attenzione in più va invece prestata per i dipendenti della Polizia di Stato e della Polizia Penitenziaria: tali categorie infatti sono state oggetto (rispettivamente, nei primi anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso) di una conversione in corpi “civili” (cd. “smilitarizzazione”) con un regime transitorio particolare anche dal punto di vista pensionistico. In ragione di queste circostanze alcune pronunce della Corte dei conti non hanno riconosciuto al personale della Polizia di Stato e della Polizia penitenziaria l’applicazione dell’art. 54 del Testo unico.

In generale, si consiglia comunque a qualsiasi ex dipendente dei corpi delle forze armate soggetto al sistema pensionistico di tipo “misto” di verificare, con l’assistenza di professionisti legali e di appositi consulenti esperti della materia, la correttezza della liquidazione della pensione effettuata dall’INPS e dall’ente datore di lavoro, in modo da eventualmente valutare un’azione stragiudiziale di fronte alla Corte dei conti per il riconoscimento dei propri diritti.

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