Il diritto di accesso ad un anno dal FOIA italiano: coordinate fondamentali
Con il d.lgs. n. 97/2016 viene introdotto nel sistema italiano il principio fondamentale proprio dei freedom of information act (FOIA) di matrice statunitense: la pubblica amministrazione ha un obbligo generale di concedere l’accesso alla documentazione in proprio possesso a chi ne faccia richiesta. Si tratta di un principio nuovo per l’ordinamento italiano, in grado potenzialmente di modificare significativamente i rapporti tra privato e pubblica amministrazione, offrendo nuove interessanti opportunità in tema di accessibilità e gestione dei dati: fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 97/2016, infatti, i cittadini avevano diritto di prendere visione ed estrarre copia dei documenti in possesso della Pubblica Amministrazione solo se dimostravano di avere un interesse individuale e concreto. A partire dal 23 dicembre 2016, invece, chiunque ha di norma il diritto di accedere a tali documenti, senza necessità di dover giustificare la propria richiesta.
È da poco trascorso un anno dall’effettiva entrata in vigore dell’obbligo di adeguarsi a tale nuovo principio: di seguito se ne tracciano i connotati fondamentali e si forniscono alcune indicazioni basate sul primo periodo di attuazione delle nuove norme.
- Le diverse tipologie di accesso nell’ordinamento italiano
La “storica” previsione generale sul diritto di accesso agli atti amministrativi nell’ordinamento italiano è contenuta all’art. 22 della l. n. 241/1990 (legge sul procedimento amministrativo), che ammette l’accesso ai documenti in possesso della pubblica amministrazione in presenza di un interesse «diretto, concreto e attuale» in capo al richiedente. La l. n. 241/1990 prevede inoltre varie ipotesi di esclusione del diritto, oltre a negare espressamente la possibilità di inoltrare istanze di accesso finalizzate ad un controllo generalizzato sull’operato dell’amministrazione. L’accesso viene riconosciuto dunque sulla base di un interesse individuale e concreto alla conoscenza del contenuto in un documento, strumentale all’esercizio di un diritto (tipicamente, ad esempio, il diritto di agire in giudizio). Da un punto di vista procedurale, ciò si traduce nella necessità di motivare l’istanza di accesso, che deve dare atto dell’interesse specifico esistente in capo al richiedente nel caso concreto.
Nel 2013 il legislatore ha introdotto una nuova forma di accesso, il cd. accesso civico, che corrisponde alla richiesta di documenti, informazioni e dati in presenza di un obbligo di pubblicazione imposto dalla legge. In questo caso perciò il singolo privato, anche se privo di interessi particolari, può inoltrare una richiesta di accesso, che di fatto corrisponde alla rilevazione di un inadempimento dell’amministrazione destinataria della richiesta, la quale ha omesso di pubblicare sul proprio sito quanto richiesto dalle previsioni di legge (nella specie, dal d.lgs. n. 33/2013).
L’evoluzione legislativa più recente, avvenuta con il d.lgs. n. 97/2016, ammette, come accennato, l’accesso a qualsiasi documento o informazione da parte di qualsiasi soggetto, anche in assenza di interessi particolari a giustificazione dell’istanza. La finalità espressa di tale nuovo diritto, definito “accesso (civico) generalizzato”, è proprio quella negata dalla l. n. 241/1990, ossia contribuire a una forma di controllo diffuso sull’operato della pubblica amministrazione che possa incentivare atteggiamenti virtuosi e pienamente conformi alla legge.
Da notare che le tre forme di accesso sopra descritte continuano a coesistere anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 97/2016. Vi è perciò, riepilogando:
- l’accesso procedimentale o documentale, disciplinato dalla l. n. 241/1990 e legato ad una posizione di interesse differenziato da parte di chi presenta la richiesta;
- l’accesso civico (semplice), previsto dall’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013 che riguarda i dati e i documenti che le amministrazioni sono tenuti a pubblicare a norma di legge;
- l’accesso (civico) generalizzato, introdotto dal d.lgs. n. 97/2016 all’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 33/2013 e che riguarda, potenzialmente, la conoscenza di qualsiasi documento o informazione da parte di qualsiasi soggetto, senza alcuna limitazione soggettiva (basata sulla titolarità di un interesse) o oggettiva (tipologia di documento).
- Ma la Pubblica Amministrazione può rifiutare le richieste di “accesso civico generalizzato” previste dal d.lgs. n. 97/2016?
Come comprensibile, la legge prevede alcune ipotesi in cui l’accesso generalizzato non può essere riconosciuto o deve comunque essere limitato, in ragione dell’esistenza di interessi contrastanti tutelati dall’ordinamento.
In particolare, l’art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013 prevede il rifiuto della richiesta di accesso nel caso in cui lo stesso possa comportare un «pregiudizio concreto» alla tutela di interessi pubblici, quali ad esempio l’ordine o la sicurezza pubblica, o di interessi privati, quali la tutela di dati personali, la riservatezza della corrispondenza e interessi economici e commerciali. Il diritto di accesso viene inoltre escluso nel caso di esistenza di segreto di Stato o, in generale, negli altri casi previsti dalla legge.
Per l’individuazione nello specifico dei casi in cui l’interesse contrastante può giustificare il diniego della richiesta di accesso, il d.lgs. n. 33/2013 ha previsto l’emanazione di apposite linee guida da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali (privacy). Tali linee guida sono state emanate dall’ANAC con deliberazione n. 1309 del 28 dicembre 2016 e, in merito alle limitazioni al diritto di accesso generalizzato, distinguono le ipotesi di esclusione assoluta dell’accesso da quelle di esclusione relativa dell’accesso. La prima si ha nel caso di segreto di Stato e in altri casi in cui la legge prevede un divieto di accesso o divulgazione, tra cui le fattispecie previste dalla l. n. 241/1990. La seconda invece richiede una valutazione in concreto del pregiudizio che si arrecherebbe, in caso di accesso, all’interesse (pubblico o privato) contrapposto, in quanto previsto dalla legge. In tale secondo ambito, riveste particolare rilievo l’interesse privato alla tutela della riservatezza dei dati personali: sul punto, l’ANAC raccomanda ove possibile di accordare l’accesso omettendo i dati personali e di considerare quale criterio per accogliere o rigettare la richiesta di accesso il contenuto dei dati personali (attribuendo, ad esempio, una maggior tutela ai dati giudiziari e sensibili, o che riguardino minori). L’impostazione basata su una valutazione caso per caso della tutela in concreto degli interessi contrapposti, unita ad una formulazione normativa relativa alle esclusioni assolute non impeccabile, rischiano però di riportare la valutazione di un’istanza di accesso generalizzato sul piano dell’interesse proprio del richiedente restringendo eccessivamente l’ambito di operatività del nuovo diritto di accesso. Rischia cioè di riacquistare un posto centrale nella valutazione degli interessi contrapposti la considerazione della motivazione che spinge all’accesso, che non dovrebbe invece, come visto, avere rilevanza: sembra porsi in tale prospettiva, sempre in tema di valutazione della tutela dei dati personali, il Garante della privacy, che deve essere coinvolto, come si vedrà, nell’ambito dei rimedi avverso i provvedimenti sulle richieste di accesso generalizzato nelle materie di sua competenza. In un caso particolare (parere 10 agosto 2017), il Garante ha affermato la legittimità di un diniego basandosi, tra l’altro, sulla dubbia rilevanza pubblica delle informazioni richieste e sull’attività svolta dal richiedente e deducendo da questa la probabile motivazione (finalità commerciale) sottesa alla richiesta di accesso.
In questo contesto, una circolare del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione (n. 2/2017) ha ricondotto l’attenzione sulla tutela preferenziale dell’interesse a conoscere, che le amministrazioni dovrebbero ritenere prevalente ogni qualvolta vi sia un dubbio circa l’applicabilità di eccezioni. Tale principio deve tradursi, secondo la circolare, in un approccio che miri a ridurre al minimo gli aggravi e le formalità procedurali, curando il dialogo con i richiedenti (ad esempio, chiedendo chiarimenti in caso di richieste incomplete) e fornendo informazioni precise sulle modalità di presentazione delle richieste e i tempi di riscontro. La circolare incoraggia, nella stessa ottica, l’estensione dell’ambito di informazioni pubblicate o delle modalità di comunicazione utilizzate dall’amministrazione (ad esempio con ricorso ai social network), sulla base di quanto rilevato dall’analisi delle richieste di accesso ricevute.
Sul fronte della giurisprudenza, si possono rilevare alcune interessanti pronunce del giudice amministrativo di primo grado che affrontano alcuni dei nodi fondamentali della disciplina. Una sentenza del TAR Milano (n. 1951/2017), ad esempio, ha confermato la legittimità di un diniego di accesso ad un numero tale di documenti da rischiare di aggravare eccessivamente l’ordinaria attività dell’amministrazione coinvolta (cd. richiesta massiva). Basandosi sul principio generale di buona fede e di abuso del diritto, i giudici hanno rilevato, nel caso di specie, come l’oggetto della richiesta rivelasse non l’intento di controllare l’operato dell’amministrazione ma una mera volontà di ostacolarne l’operato. Una recente sentenza del TAR Napoli (n. 5901/2017) ha invece affermato il principio per cui, anche in caso di accesso relativo a dati personali del controinteressato (nella specie, la presenza sul luogo di lavoro), la motivazione del rigetto della richiesta da parte dell’amministrazione non può basarsi su di una motivazione minima, coincidente di fatto solo con l’opposizione del controinteressato.
- Indicazioni pratiche per presentare un’istanza di “accesso civico generalizzato”
L’istanza di accesso generalizzato deve contenere l’indicazione dell’identità del richiedente ed individuare l’oggetto della richiesta in modo sufficientemente preciso. Può essere inviata in via telematica (anche a mezzo posta elettronica non certificata, purché l’istanza sia sottoscritta e accompagnata da documento di identità, o con firma digitale, o ancora con identificazione SPID). L’istanza può essere presentata all’ufficio che detiene i documenti, i dati o le informazioni, all’ufficio relazioni con il pubblico o ad altro ufficio indicato dall’amministrazione. Il termine per la decisione sull’istanza di accesso è di trenta giorni, ma può essere sospeso in caso di necessità di informare i controinteressati (per i dieci giorni entro cui questi possono presentare opposizione).
In caso di diniego o decorso del termine senza che l’amministrazione assuma decisioni, i rimedi disponibili sono:
- la richiesta di riesame al responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza, il quale decide entro venti giorni, previa richiesta di parere al Garante della privacy nel caso in cui sia coinvolta la tutela di dati personali, nel qual caso il Garante emette il suo parere entro dieci giorni (con relativa sospensione del termine di riesame);
- in caso di atti di amministrazioni regionali o locali, il ricorso al difensore civico competente, che si pronuncia entro trenta giorni, sentito, anche in questo caso, il Garante della privacy per i casi che lo competono (con sospensione dei termini di dieci giorni per l’acquisizione del relativo parere). Nel caso in cui il difensore civico si pronunci per l’accesso e l’amministrazione non confermi il diniego entro trenta giorni dalla decisione del difensore civico, l’accesso si intende consentito;
- il ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente, che può essere sempre esperito (anche in caso di esito negativo dei rimedi sopra descritti) e segue il rito speciale di cui all’art. 116 del Codice del processo amministrativo.
I controinteressati, come visto, devono essere informati dall’amministrazione che riceve l’istanza di accesso (tramite raccomandata o in via telematica, se hanno consentito tale forma di comunicazione) e possono presentare opposizione alla richiesta entro dieci giorni dalla ricezione della relativa comunicazione. Nel caso in cui l’accesso sia ammesso nonostante l’opposizione, di norma i documenti o i dati non possono essere trasmessi prima di quindici giorni dalla comunicazione dell’accoglimento della richiesta di accesso al controinteressato, che potrà esperire gli stessi rimedi elencati sopra.
- Uno strumento di democrazia ancora da metabolizzare
Gli ultimi dati pubblicati dal Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione mostrano come nel corso del 2017 è aumentato in modo consistente il numero delle richieste di accesso basate sul FOIA (+37% a livello centrale e +148% a livello locale). Tuttavia, come illustrato nei precedenti paragrafi, la disciplina contiene elementi di complessità che richiedono un approfondimento giuridico non sempre semplice, per cui può essere ragionevole per chi richiede l’accesso o vuole opporsi ad una richiesta rivolgersi a professionisti specializzati che possano consigliare la strategia da seguire e assistere nella predisposizione dei documenti anche prima che sia necessario ricorrere a rimedi giurisdizionali.
La consulenza di un legale diventa particolarmente importante quando la richiesta coinvolge profili attinenti al diritto della privacy, settore che sta attraversando un’importante fase di rinnovamento con l’ormai prossima entrata in vigore del nuovo Regolamento europeo in materia (25 maggio 2018). In generale, il tema dell’accesso e del trattamento dei dati diventa sempre più centrale nei rapporti socioeconomici moderni: anche il rapporto di cittadini e imprese con il potere pubblico e le informazioni da esso detenute deve dunque essere considerato con particolare attenzione.