
Le regole per la trasformazione del centro città: il cambio di destinazione d’uso a Milano nell’era di Airbnb (anche alla luce del nuovo PGT)
| L’articolo è stato pubblicato con altro titolo su Requadro il 31 luglio 2019. |
Uno dei più noti e rilevanti processi di trasformazione delle città in corso – in Italia e nel mondo – negli ultimi anni riguarda l’aumento dell’utilizzo degli immobili per l’ospitalità ricettiva di breve periodo, a discapito di locazioni a lungo termine per residenza, uffici o attività commerciali e artigianali.
Questo processo ha conosciuto una grande crescita con lo sviluppo di piattaforme online che facilitano la ricerca e la valutazione di soluzioni turistico-ricettive offerte anche da semplici proprietari di “seconde case” che non operano a livello imprenditoriale. Tra le piattaforme più diffuse e conosciute ha ovviamente un ruolo di primo piano Airbnb, tanto che è stato coniato il termine di “airification” delle città.
Il cambiamento in corso e le modalità di funzionamento delle piattaforme che vi hanno contribuito hanno generato un grande dibattito che coinvolge considerazioni di tipo socioeconomico, fiscale, politico e legale.
Tra le numerose questioni giuridiche da considerare vi è quella della rilevanza del cambiamento sul fronte del diritto urbanistico.
Dal punto di vista del singolo immobile, questo si traduce nella necessità di valutare se occorra e se sia possibile un cambio di uso per destinare un immobile ad una locazione di breve periodo finalizzata all’ospitalità.
In questo breve articolo cerchiamo di offrire qualche indicazione sulla questione, prendendo come esempio il caso del centro di Milano, in quanto città sicuramente interessata dal fenomeno descritto e che ha di recente adottato un nuovo strumento urbanistico (il nuovo piano di governo del territorio – PGT “Milano 2030”, che sarà approvato definitivamente all’esito della fase di presentazione delle osservazioni da parte degli stakeholders).
Una disciplina multi-livello
Per affrontare il tema del mutamento di destinazione d’uso dal punto di vista giuridico ed in particolare l’(eventuale) variazione della destinazione d’uso per consentire l’esercizio di attività turistico-ricettiva, si deve necessariamente avere riguardo alla differenziazione delle discipline di riferimento a livello regionale e comunale.
La disciplina giuridica del cambio di destinazione d’uso è ricompresa nella materia costituzionale del “governo del territorio”. Si tratta di una materia soggetta alla c.d. competenza legislativa “concorrente” da parte di Stato e Regioni, nell’ambito della quale – in estrema sintesi – lo Stato detta i principi legislativi fondamentali della materia, mentre alle Regioni spetta la legislazione di dettaglio.
A ciò si aggiungono le regole contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti dei comuni, i quali disciplinano le possibili destinazioni d’uso delle aree del loro territorio ed i criteri costruttivi specifici cui gli immobili devono sottostare per potere essere effettivamente destinati a determinati usi.
Per il settore della ricettività turistica, in cui ovviamente si inserisce anche il tema delle locazioni a breve temine, si aggiunge un ulteriore elemento di complessità: la materia “turismo” è infatti considerata, a livello costituzionale, di competenza esclusiva delle Regioni.
Nelle materia di competenza esclusiva delle Regioni, queste ultime – In linea teorica – potrebbero legiferare in piena libertà sul settore; in pratica, però, la naturale presenza di elevate interconnessioni tra le diverse materie legislative, fa sorgere il tema della compatibilità di certe previsioni regionali con le prerogative statali (in particolare, con la tutela della concorrenza e l’ordinamento civile, materie di competenza esclusiva statale).
Il problema, con particolare riferimento all’argomento in esame, riguarda ad esempio la qualificazione dell’attività di ospitalità turistica come imprenditoriale (su cui molte leggi regionali contengono specifiche previsioni), oppure la definizione dei requisiti a livello regionale per esercitare una determinata attività turistico-ricettiva.
La giurisprudenza costituzionale e amministrativa si è già pronunciata su alcune previsioni delle leggi e dei regolamenti regionali, offrendo alcune indicazioni importanti, ma il tema rimane piuttosto aperto.
Quello che è certo, in ogni caso, è che per modificare la destinazione d’uso di immobili da offrire per l’ospitalità di breve periodo tramite piattaforme online occorre tenere in considerazione la disciplina della singola regione e del singolo comune di localizzazione dell’immobile.
Come anticipato, vedremo brevemente nei seguenti paragrafi l’esempio di un immobile localizzato nel centro di Milano, considerando dunque la legislazione lombarda e gli strumenti urbanistici (come visto, in corso di revisione) e regolamentari del Comune.
La legge lombarda e le strutture ricettive non alberghiere
Il primo passaggio della nostra breve analisi riguarda l’identificazione della destinazione d’uso necessaria per l’offerta di immobili propri di piattaforme online quali Airbnb.
Per questa verifica, nel caso milanese preso in considerazione, occorre fare riferimento alla legge regionale in materia di turismo (l.r. Lombardia n. 27/2015), che prevede le definizioni di “case e appartamenti per vacanze”, oltre ad altre forme di “strutture ricettive non alberghiere”, quali i “bed & breakfast”. Per entrambe tali tipologie di strutture ricettive, la destinazione d’uso menzionata espressamente dalla legge è quella residenziale. Da ciò discende una prima importante (e intuibile) notazione: le case e gli appartamenti già destinati a residenza possono essere destinati all’ospitalità di breve periodo (nelle varie forme previste) senza cambiamenti di uso formali.
Per immobili destinati ad usi diversi da quello residenziale – come ad esempio uffici, laboratori artigianali, esercizi commerciali – la questione va approfondita ulteriormente, alla luce della disciplina urbanistico-edilizia in materia di mutamento di destinazione d’uso.
La disciplina del cambio di destinazione d’uso a livello statale e regionale
Dal 2014 esiste una disposizione legislativa specifica a livello statale sul cambio di destinazione d’uso “urbanisticamente rilevante”, inserita all’interno del Testo unico dell’edilizia (art. 23-ter d.P.R. n. 380/2001). L’articolo prevede però espressamente che le leggi regionali possano contenere previsioni diverse in materia (ovviamente in conformità dei principi generali dettati dalla norma).
La Lombardia ha adottato da tempo una normativa specifica sui cambi di destinazione d’uso, contenuta attualmente agli artt. 51 e 52 della l.r. n. 12/2005, la legge regionale fondamentale in tema di governo del territorio. Tali articoli dispongono, in breve, che diverse destinazioni d’uso (principale, complementare, etc.) possono coesistere nel medesimo edificio ed è sempre ammesso il passaggio da una all’altra nel rispetto delle previsioni del PGT.
Le disposizioni citate prevedono una distinzione tra mutamento di destinazione d’uso senza opere e con opere edilizie. I cambi di destinazione d’uso realizzati con opere edilizie, secondo l’art. 51 della legge lombarda, comportano un aumento o una variazione del fabbisogno di aree per servizi e attrezzature pubbliche (il “carico” urbanistico, alla base della necessità di versare oneri legati agli interventi edilizi).
I mutamenti di destinazione d’uso senza opere edilizie, invece, possono comportare un aumento di carico urbanistico solo in casi particolari (medi o grandi esercizi di vendita) e sono soggetti solo a comunicazione preventiva da parte dell’interessato. Nel caso in cui, però, la destinazione d’uso sia modificata (anche senza opere) nei dieci anni successivi alla conclusione degli ultimi lavori relativi al fabbricato oggetto di mutamento di destinazione d’uso, occorre ricalcolare il contributo di costruzione (cioè gli oneri dovuti anche in relazione al “carico” urbanistico), in conformità alla nuova destinazione.
Le regole a livello comunale e il nuovo PGT “Milano 2030”
Come già rilevato, un ulteriore livello di dettaglio è contenuto poi negli strumenti urbanistici e regolamentari del Comune di Milano.
In particolare, il PGT vigente prevede che nella zona centrale della città (definita “tessuto urbano consolidato”) le destinazioni funzionali siano “liberamente insediabili, senza alcuna esclusione e senza una distinzione e un rapporto percentuale predefinito” (art. 5 norme attuative del Piano delle regole, parte del PGT che disciplina le aree comunali già consolidate). Vi è dunque un principio generale di libertà di destinazione d’uso nelle zone centrali della città, ovviamente nel rispetto dei parametri costruttivi e sanitari previsti a livello legislativo e comunale.
Il PGT riprende inoltre la regola, già affermata a livello regionale, della necessità di versare gli oneri connessi all’eventuale aumento del carico urbanistico causato dal cambio di destinazione d’uso, nel caso in cui questo avvenga con opere edilizie, oppure senza opere edilizie ma nei dieci anni successivi agli ultimi lavori effettuati.
Il regolamento edilizio del Comune di Milano contiene principi dello stesso tenore, confermando la rilevante distinzione, in particolare ai fini dell’onerosità del cambio, tra mutamento di destinazione con opere e senza opere.
Anche il nuovo PGT “Milano 2030” (nella sua versione non ancora definitiva) sembra mantenere la stessa impostazione: viene ribadito infatti il principio della “libera insediabilità” delle funzioni urbane (cioè delle destinazioni d’uso) all’interno dell’area centrale della città, con recupero integrale della “superficie lorda” (semplificando, la superficie dell’immobile compatibile con la presenza di persone). Rimane anche la rilevanza della distinzione tra mutamento con opere e senza opere edilizie: la necessità di riconoscere oneri per l’aumento del carico urbanistico sembra essere prevista solo per il primo.
Le funzioni urbane previste dal nuovo PGT, con formulazione diversa rispetto a quelle attuali, sono: residenziale; produttivo; direzionale, turistico-ricettivo e servizi privati; commerciale; rurale. Sul punto, il nuovo PGT prevede la possibilità di un mutamento più agevolato (almeno in termini di onerosità) tra la funzione “produttiva” e quelle del “terziario” (direzionale, turistico-ricettivo e servizi privati).
Conoscere per potere e saper cambiare
Il mutamento della destinazione d’uso di un immobile richiede, come visto, un certo livello di approfondimento tecnico-giuridico, sia che si tratti di un’iniziativa inserita in un’attività professionale o imprenditoriale, sia che si tratti semplicemente di un nuovo modo per rendere redditizia una proprietà immobiliare.
La stessa individuazione dell’attuale destinazione d’uso di un immobile non va data per scontata: per identificarla con certezza occorre infatti fare riferimento ai titoli abilitativi originari dell’immobili e ricostruirne la “storia” sul piano amministrativo delle eventuali modifiche intervenute. Questo può portare ad esempio a scoprire incongruenze rispetto ad altra documentazione (ad esempio la classificazione catastale) che non prevale però sulla documentazione urbanistico-edilizia comunale. Il rischio di confusione nella ricostruzione e nel “ricongiungimento” delle destinazioni d’uso è ovviamente tanto più alto quanto più l’immobile è risalente nel tempo. Una volta determinata l’attuale destinazione d’uso, la necessità, la possibilità e le condizioni di un suo eventuale mutamento vanno valutate, come visto, alla luce della normativa (di ordine statale, regionale e comunale) che regola la materia.
Abbiamo offerto qualche indicazione sull’esempio di Milano, tenendo anche conto del contenuto del nuovo PGT in corso di approvazione; ovviamente, però, qualsiasi valutazione specifica su singoli immobili deve passare da un approfondimento di dettaglio sulle caratteristiche proprie, sulla storia e sulla regolamentazione (ad esempio, a livello condominiale) dell’edificio interessato, alla luce del contesto in cui lo stesso è inserito. Anche in questo caso, dunque, l’assistenza di professionisti con un’adeguata specializzazione tecnica e legale è fondamentale.