Smart readiness indicator per edifici efficienti ed intelligenti: a che punto siamo?
La Commissione europea ha emanato in data 14 ottobre 2020 due Regolamenti, rispettivamente “delegato” e “di esecuzione”, relativi agli indicatori di predisposizione dell’edificio all’intelligenza (“smart readiness”).
I regolamenti in questione costituiscono provvedimenti attuativi delle previsioni relative all’indicatore contenute nella direttiva (UE) 2018/844 (EPBD III), parte fondamentale e dedicata all’efficienza energetica degli edifici all’interno del ”pacchetto” sull’energia dell’U.e. adottato negli ultimi anni.
Più precisamente, la direttiva EPBD III ha introdotto un sistema comune europeo per determinare la predisposizione degli edifici alla “smartness”, cioè la capacità di migliorare l’efficienza energetica e le prestazioni complessive, a cui gli Stati membri possono aderire su base volontaria.
Questo sistema di assessment si fonda su un indicatore, lo smart readiness indicator (o SRI) e su una metodologia specifica per calcolare lo stesso.
Vediamo quali sono i contenuti più interessanti dei regolamenti che lo disciplinano.
La metodologia di calcolo e il sistema di certificazione
Il Regolamento delegato (UE) 2020/2155 ha lo scopo principale di individuare una metodologia di calcolo comune per lo smart readiness indicator, inteso come strumento per valutare “le capacità di un edificio o di un’unità immobiliare di adattare il proprio funzionamento alle esigenze dell’occupante e della rete e di migliorare l’efficienza energetica e la prestazione complessiva durante l’uso”.
Gli allegati del regolamento individuano dunque nel dettaglio le formule di calcolo del punteggio di “smartness” dell’edificio, secondo nove ambiti tecnici di riferimento:
- riscaldamento;
- raffrescamento,
- acqua calda per uso domestico,
- ventilazione,
- illuminazione,
- involucro edilizio dinamico,
- energia elettrica,
- ricarica dei veicoli elettrici;
- monitoraggio e controllo.
Le funzioni fornite da componenti e sistemi tecnici dell’edificio (definite dal regolamento “servizi predisposti all’intelligenza”) vengono classificati sulla base degli ambiti tecnici appena elencati e valutati tenendo conto di uno specifico fattore di ponderazione in relazione ai seguenti sette “criteri d’impatto”:
- efficienza energetica;
- manutenzione e previsione dei guasti,
- comfort,
- comodità,
- salute, benessere e accessibilità,
- informazioni agli occupanti,
- flessibilità energetica e stoccaggio dell’energia.
Il risultato si traduce in punteggi (di dettaglio ed aggregati) da inserire in un certificato che individua una “classe di predisposizione all’intelligenza” (in una scala percentuale che comprende sette classi).
Il certificato si pone dunque come strumento informativo fondamentale per i proprietari e gli altri soggetti interessati: per tale ragione, il certificato deve essere predisposto da esperti qualificati o accreditati e inserito in un sistema di controllo indipendente.
L’individuazione degli esperti e delle modalità di emissione del certificato sono oggetto della disciplina del Regolamento di esecuzione (Ue) 2020/2156, che prevede la possibilità di coordinare il sistema di accreditamento degli esperti con quelli già esistenti per gli attestati di prestazione energetica (APE) degli edifici e la certificazione degli impianti ai sensi delle direttive sull’efficienza energetica. Allo stesso modo, è possibile per gli Stati membri assumere come riferimento per il certificato “smart readiness” i certificati e gli strumenti di audit e verifica già previsti per l’efficienza energetica degli edifici.
Gli spazi di manovra degli Stati membri e la situazione italiana
Le norme incluse nella direttiva EPBD e nei regolamenti prevedono ampi spazi di libertà per gli Stati membri.
L’adesione all’intero sistema, innanzitutto, è facoltativa: gli Stati possono decidere se adottare le regole e con quale livello di obbligatorietà, anche attraverso periodi di sperimentazione e prova, e decidere – come visto – se abbinare il nuovo sistema a strumenti ormai noti e consolidati come l’attestato di prestazione energetica degli edifici.
Se uno Stato membro aderisce al sistema, deve farlo però seguendo le indicazioni contenute nei Regolamenti e il programma di verifica e monitoraggio previsto dalla Commissione.
L’Italia non ha adottato una disciplina nazionale sullo smart readiness indicator in occasione del recepimento della direttiva EPBD III (con il d.lgs. n. 48/2020).
Al momento dunque gli operatori possono soltanto aderire autonomamente e all’infuori di un sistema di certificazione e controllo pubblico ai nuovi criteri proposti in sede europea.
I player del mercato sembrano comunque interessati alle novità: in un sondaggio svolto nell’ambito dell’Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano, che ha presentato di recente il rapporto “Smart Building Report 2020”, il 65% dei sessanta operatori del settore consultati ha dichiarato di ritenere lo smart readiness indicator uno strumento utile, mentre il restante 35% ha dichiarato di non averne ancora piena consapevolezza.
Senza dubbio, il mercato europeo (ed italiano in esso) hanno necessità di strumenti efficaci per misurare e descrivere le capacità degli edifici in termini di efficienza ed intelligenza, per affrontare le sfide del cambiamento climatico in un settore sempre più essenziale.
| L’articolo è stato pubblicato il 20 aprile 2021 su Requado. |