Sostenibilità energetica ed ambientale negli appalti pubblici, dalle parole ai fatti: le indicazioni del giudice amministrativo sulla concreta applicazione dei CAM
Nelle pagine di questo blog ci siamo occupati in più di un’occasione di economia circolare nel settore pubblico e soprattutto di “criteri ambientali minimi” (CAM), strumento fondamentale di attuazione dei principi del green public procurement (GPP) nel codice dei contratti pubblici italiano, che ne prevede l’obbligatorietà all’articolo 34.
A ormai quattro anni dall’entrata in vigore del codice, si possono identificare nelle pronunce del giudice amministrativo italiano alcuni principi interpretativi importanti rispetto all’applicazione concreta dei CAM.
Per cominciare, si può osservare che secondo il Consiglio di Stato l’unico strumento che può definire i CAM è il decreto del Ministero dell’Ambiente previsto dal già citato art. 34 del codice dei contratti pubblici. Un atto successivo di diversa natura (come ad esempio un decreto dirigenziale dello stesso Ministero) non è idoneo a modificare o integrare le disposizioni del d.m. (Consiglio di Stato, sez. VI, 27 marzo 2019, n. 2036).
Allo stesso modo, i CAM si applicano obbligatoriamente soltanto alle specifiche categorie di appalto previste dai d.m. stessi (TAR Toscana, Sez. II, 27 novembre 2018, n. 1531): in questo senso, la definizione dell’oggetto del contratto (sulla base del codice CPV) da parte della stazione appaltante diventa fondamentale. L’individuazione di una tipologia di acquisto invece di un’altra può determinare o meno l’obbligatorietà dell’applicazione dei CAM. Ciò non significa, tuttavia, che la stazione appaltante non possa decidere autonomamente di applicare i requisiti previsti da un decreto CAM anche per un affidamento con oggetto diverso da quello espressamente considerato: il Consiglio di Stato ha infatti ammesso l’applicabilità in via analogica dei CAM da parte della stazione appaltante (Cons. Stato, sez. V, 29 gennaio 2018, n. 604). Tale facoltà non è però illimitata, in quanto l’applicabilità dei CAM – solitamente onerosi per gli operatori – deve essere valutata caso per caso anche alla luce della possibile restrizione della concorrenza che può derivarne.
Ad ogni modo, in caso di applicazione (obbligatoria o volontaria) dei CAM, la base d’asta determinata dalla stazione appaltante deve essere proporzionata all’onere economico richiesto dall’osservanza dei requisiti di sostenibilità previsti. Diverse pronunce hanno ritenuto illegittimi atti di gara contenenti basi d’asta (sotto)stimate senza un’adeguata istruttoria che tenesse debitamente conto degli oneri derivanti dall’applicazione dei CAM (es. TAR Lombardia Milano, sez. IV,12 febbraio 2018, n. 403 e TAR Piemonte, sez. I, 23 aprile 2018, n. 474).
Nei casi in cui i CAM sono da applicarsi obbligatoriamente, la stazione appaltante deve sottostare alle relative prescrizioni e i suoi margini di scelta sulle scelte progettuali e contrattuali sono contenute nei limiti previsti dal CAM stesso: una gara è stata di recente annullata, ad esempio, perché la stazione appaltante aveva scelto una delle opzioni di affidamento previste dal “CAM servizi energetici” in presenza di condizioni di fatto che avrebbero invece richiesto l’applicazione di un’altra opzione contrattuale (è il caso affrontato da TAR Milano, Sez. I, 20 aprile 2020, n. 685).
Quando i CAM non lasciano margini di scelta particolari alla stazione appaltante, la giurisprudenza è arrivata persino ad affermare l’applicabilità dei relativi requisiti anche se non presi minimamente in considerazione dalla documentazione di gara (TAR Veneto, Sez. I, 18 marzo 2019, n. 329). Secondo tale interpretazione, basata sui principi in tema di norme imperative previsti dal codice civile, i CAM arrivano ad integrare le regole della procedura, l’oggetto e le clausole del contratto anche se non considerati dalla stazione appaltante: si parla in questo caso di “eterointegrazione” del bando di gara.
La giurisprudenza lascia invece (correttamente) libertà alla stazione appaltante sulla scelta degli elementi previsti non come obbligatori ma come “premiali” dai decreti ministeriali che disciplinano i CAM. La documentazione di gara può adottare tali elementi – comunque consigliati – per attribuire un punteggio alle offerte ricevute (Consiglio di. Stato, Sez. III, 17 aprile 2018, n. 2317) o anche prevederne di ulteriori (Cons. Stato, Sez. III, 11 marzo 2019, n. 1635), sempre nei già menzionati limiti della proporzionalità.
Diverse sentenze si sono occupate inoltre della possibilità o meno di integrare la documentazione presentata dagli offerenti che sia priva di elementi previsti dai CAM attraverso il meccanismo del cd. “soccorso istruttorio” (richiesta di integrazione da parte della stazione appaltante). Alcune sentenze (come ad esempio TAR Trento, 17 dicembre 2019, n. 168) hanno adottato un approccio rigoroso considerando tali mancanze come non sanabili attraverso soccorso istruttorio in quanto riguardanti l’offerta tecnica dell’operatore: il codice infatti esclude espressamente la possibilità di integrazione postuma dell’offerta tecnica. In altri casi (ad esempio TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 4 giugno 2018 n. 1137) il giudice amministrativo ha ammesso la possibilità di integrare con soccorso istruttorio documentazione inerenti ai CAM che non cambiasse il contenuto dell’offerta (es. prova di possesso di requisiti dichiarati). Il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sulla questione (Consiglio di Stato, Sez. V, 27 marzo 2020, n. 2146), ha ammesso in astratto la possibilità di integrazione, da valutarsi però caso per caso sulla base della chiarezza dei documenti di gara e delle caratteristiche delle mancanze (che non possono consistere in elementi fondamentali per attribuire un punteggio all’offerta).
Quando, infine, un’offerta sia palesemente in violazione dei requisiti previsti obbligatoriamente dai CAM, l’operatore che l’ha presentata va escluso dalla gara (così, ad esempio, ha deciso TAR Toscana, 14 maggio 2018, n. 645).