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I Comuni e le comunità energetiche rinnovabili: come “indurre” la sostenibilità a livello locale

I Comuni e le comunità energetiche rinnovabili: come “indurre” la sostenibilità a livello locale

E’ veramente difficile trovare degli elementi positivi nella terribile crisi pandemica che ha funestato il globo sin da fine 2019, ma uno di questi è sicuramente l’aver indirizzato l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni verso una dimensione di sviluppo maggiormente sostenibile anche sotto il profilo ambientale, improntato ad un uso competente ed efficiente delle risorse naturali ma anche e soprattutto alla riduzione delle emissioni dei gas responsabili del climate change.

In quest’ottica, la lotta al cambiamento climatico passa anzitutto per la riduzione dei consumi energetici e la produzione (in un’ottica di “generazione distribuita”) di energia da fonti rinnovabili, principalmente a livello locale.

Gli insediamenti urbani sono infatti tra i principali responsabili del cambiamento climatico in quanto per la produzione dell’energia necessaria per “far funzionare”, “far muovere” le nostre città e cittadine e riscaldare/raffreddare gli immobili vengono utilizzate fonti di natura fossile che rilasciano in atmosfera consistenti quantità di emissioni di gas climalteranti.

Da qui la necessità di un ruolo attivo dei Comuni e dagli enti territoriali, in particolare nell’ambito delle c.d. comunità energetiche rinnovabili.

In termini generali, la fonte legislativa principale relativa alle comunità energetiche in Italia è rappresentata dall’art. 42-bis del decreto “milleproroghe” 2020 (d.l. n. 162/2019), con d.m. attuativo del Mise (16 settembre 2020) che ha individuato la tariffa incentivante legata alle comunità energetiche rinnovabili e alcune delibere ARERA che hanno definito i requisiti e i profili tecnici per la realizzazione di autoconsumo e comunità energetiche. Attualmente, quindi, nell’ordinamento italiano sono disciplinate espressamente solo le comunità energetiche basate sulla produzione di energia da fonti rinnovabili.

Per espressa previsione dell’art. 42-bis, i “membri” delle comunità energetiche rinnovabili possono essere “enti territoriali o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali”.

I requisiti fondamentali per la costituzione di una comunità energetica previsti dall’art. 42-bis sono rappresentati da:

– produzione da impianti di potenza complessiva non superiore ai 200 kw;

– condivisione (anche “virtuale”) dell’energia;

– riconducibilità dei produttori/consumatori alla medesima cabina di trasformazione in media tensione/bassa tensione;

– costituzione della comunità in un soggetto giuridico (es. associazione) e la regolazione dei rapporti tramite apposito contratto che definisca i diritti dei consumatori e individui un soggetto responsabile.

In tale contesto, quindi, il Comune – al pari degli altri membri della comunità energetica – può essere:

  • “promotore” dell’iniziativa (comunicazione delle opportunità alla cittadinanza, informazione e “affiancamento” per eventuali interessati, socio “fondatore” del soggetto giuridico in cui si costituisce la comunità, anche una semplice associazione);
  • produttore (titolare impianto di produzione che condivide l’energia con altri membri);
  • consumatore (semplice consumatore di energia prodotta da impianti di cui non è titolare).

Ovviamente i tre ruoli possono coesistere contemporaneamente, anche nell’ipotesi in cui il Comune abbia già un impianto esistente o in programma.

A tal proposito, lo schema più semplice sembra essere quello di un Comune proprietario di impianto (eventualmente insieme ad altri produttori, che possono aderire anche in un secondo momento) che promuove l’iniziativa e costituisce l’associazione con cittadini interessati al consumo di energia prodotta.

Le fonti di finanziamento a disposizione dei Comuni e degli altri enti locali per sviluppare comunità energetiche rinnovabili non mancano, a partire dal Bando EUCF.

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