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La giurisdizione sui contratti esclusi: il contrasto tra Consiglio di Stato e Corte di Cassazione

La giurisdizione sui contratti esclusi: il contrasto tra Consiglio di Stato e Corte di Cassazione

Il panorama della contrattualistica pubblica include sia profili di diritto privato – data la natura ultima dello strumento negoziale – sia profili relativi al diritto amministrativo – dal momento che è la pubblica amministrazione a concludere dei contratti.

Questa ambivalenza si riflette anche nella scelta del giudice cui rivolgersi, tra TAR e giudice ordinario, nel caso di un contenzioso che riguardi l’affidamento o l’esecuzione di un contratto che coinvolge la pubblica amministrazione. A tal proposito, il riferimento fondamentale per i contratti pubblici, codificato all’interno del codice del processo amministrativo, individua il giudice amministrativo (TAR e Consiglio di Stato) quale giurisdizione per le controversie inerenti alla fase di affidamento del contratto – fino al provvedimento di aggiudicazione – e il giudice ordinario quale giurisdizione per le controversie inerenti all’esecuzione del contratto.

Ci sono ipotesi però in cui questa regola può non valere: ciò riguarda, in particolare, contenziosi relativi a contratti che non sono qualificabili come appalti o concessioni, o comunque sfuggono in tutto (cd. “contratti estranei”) o in parte (cd. “contratti esclusi”) dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici.

L’ordinanza n. 23453/2024 della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, si pronuncia su uno di questi casi: i contratti di locazione stipulati da soggetti pubblici o partecipati. Il caso concreto, che ha visto coinvolta Roma Servizi per la Mobilità (RSM), una società in house interamente partecipata dal Comune di Roma, ha messo in luce i complessi rapporti tra il Codice dei contratti pubblici, l’autonomia negoziale delle amministrazioni e le regole che presidiano il buon andamento dell’azione amministrativa.

La questione, in dettaglio, ha riguardato la corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 17, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 50/2016 – vigente ratione temporis – che esclude espressamente i contratti relativi all’acquisto o alla locazione di beni immobili dall’applicazione delle norme del Codice. Tuttavia, questa esclusione non è stata priva di ambiguità interpretative, generando un intenso dibattito sia sul piano giurisprudenziale sia dottrinale in termini di individuazione della corretta giurisdizione. L’ordinanza della Cassazione è parte di questo dibattito, tant’è vero che essa afferma la giurisdizione del giudice ordinario accogliendo così l’impugnazione di una sentenza del Consiglio di Stato (la n. 6824/2023) che aveva invece affermato la giurisdizione del giudice amministrativo.

Sul punto, la Corte di Cassazione, nel confermare i propri precedenti (cfr. Cass. Civ., Sez. Unite, Ord., 16 febbraio 2022, n. 5051), ha ribadito che i contratti di locazione stipulati da soggetti pubblici, o da società in house, non sono riconducibili alla disciplina degli appalti pubblici, né dal punto di vista formale né sostanziale. Secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, quindi, tali contratti si caratterizzino per una natura essenzialmente privatistica, che non viene alterata dalla necessità di rispettare principi di trasparenza, imparzialità e pubblicità. Secondo la Corte, la natura del rapporto negoziale è determinata dall’assenza di un esercizio di potere autoritativo da parte della pubblica amministrazione: la locazione, infatti, non implica una prestazione d’opera o di servizi, ma si limita a configurare un diritto di godimento di un bene. Tale qualificazione giuridica, che assegna la controversia alla giurisdizione del giudice ordinario, non viene meno neanche in presenza di una procedura selettiva adottata dall’Amministrazione per individuare il contraente.

In senso contrario, il Consiglio di Stato, con la sentenza impugnata, aveva sostenuto una lettura evolutiva dell’art. 17 citato, ritenendo che l’esclusione dei contratti di locazione dalla disciplina degli appalti pubblici non comporti una loro completa estraneità rispetto al Codice dei contratti. Secondo il giudice amministrativo, i contratti in questione dovrebbero comunque rispettare i principi fondamentali dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 97 Cost., rimanendo così nell’alveo della giurisdizione amministrativa. Questa impostazione, che si proponeva di superare il consolidato orientamento delle Sezioni Unite, ha trovato il netto dissenso della Corte di Cassazione, che ha rilevato come tale interpretazione non abbia alcun solido fondamento né nel dettato normativo né in una lettura sistematica dell’ordinamento. L’assenza di una base legislativa specifica per includere i contratti di locazione nel genere degli appalti pubblici rende infatti insostenibile la tesi del Consiglio di Stato.

Un ulteriore aspetto di rilievo trattato nell’ordinanza riguarda la natura delle società in house e il regime giuridico applicabile ai contratti da esse stipulati. Le Sezioni Unite hanno chiarito che, nonostante la finalità pubblica perseguita, tali società operano come soggetti di diritto privato, con conseguente applicazione delle regole del diritto comune. La scelta del modello in house da parte dell’amministrazione, infatti, non trasforma la natura privatistica dei rapporti negoziali, che continuano a essere soggetti alla giurisdizione del giudice ordinario. Questo principio, consolidato nella giurisprudenza, riflette una precisa opzione legislativa, volta a conciliare l’autonomia contrattuale con il rispetto dei criteri pubblicistici di trasparenza e imparzialità.

Tale impostazione, se da un lato offre chiarezza nell’individuazione del giudice competente, dall’altro solleva interrogativi su come garantire una piena tutela dell’interesse pubblico nei contratti stipulati da società in house. Le Sezioni Unite hanno ribadito che il rispetto dei principi pubblicistici, anche in contesti formalmente privatistici, non implica un’alterazione della natura giuridica dei rapporti, ma richiede semplicemente che l’amministrazione adotti procedure selettive ispirate ai principi di buon andamento e imparzialità.

La decisione delle Sezioni Unite, pur coerente con l’attuale quadro normativo, non chiude definitivamente il dibattito. L’evoluzione del Codice dei contratti pubblici – per cui è in corso di emanazione un apposito decreto correttivo – e la crescente complessità dei rapporti tra pubblico e privato potrebbero indurre a un ripensamento di alcuni aspetti, soprattutto alla luce delle esigenze di garantire maggiore uniformità e coerenza nell’applicazione dei principi pubblicistici. L’ordinanza n. 23453/2024 rappresenta dunque non solo un contributo fondamentale per chiarire il trattamento degli appalti esclusi, ma anche un invito a riflettere sulle implicazioni più ampie del rapporto tra diritto pubblico e diritto privato nel contesto dell’azione amministrativa.

Questa complessa tematica, che intreccia diritto pubblico e privato, conferma l’importanza di affidarsi a consulenti legali esperti e dotati di comprovate competenze in materia, per gestire al meglio le controversie legate agli appalti pubblici e ai contratti esclusi.

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