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La pronuncia risolutiva (?) dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sulla proroga delle concessioni demaniali turistiche

La pronuncia risolutiva (?) dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sulla proroga delle concessioni demaniali turistiche

Con le sentenze n. 17 e 18 novembre 2021 dell’Adunanza Plenaria, il Consiglio di Stato è intervenuto forse in maniera decisiva sulla rilevante questione della durata e della disciplina delle concessioni demaniali, in particolare nel contesto turistico e marittimo.

Ne abbiamo già scritto varie volte anche in queste pagine: la legge italiana (art. 1, commi 682 e 683, della legge n. 145 del 2018) ha previsto una proroga fino al 2033 delle concessioni in essere, che però risultava di applicazione molto problematica e controversa, soprattutto in ragione del possibile contrasto con i principi del diritto dell’Unione europea.

Le difficoltà nell’applicazione di tale norma era confermata dall’esistenza di due differenti orientamenti dei giudici amministrativi in palese contrasto tra loro: alcuni giudici (in particolare, il TAR Lecce) affermavano la legittimità delle proroghe disposte da alcuni Comuni sulla base della l. n. 145/2018; altri, invece, sostenevano che le amministrazioni locali non avrebbero dovuto accogliere le istanze di proroga delle concessioni presentate dai concessionari sulla base della legge sopra richiamata in quanto essa violava il diritto UE (tra gli altri, TAR Catania e TAR Firenze).

Nel risolvere tale contrasto giurisprudenziale, l’Adunanza Plenaria ha stabilito chiaramente che la proroga generalizzata delle concessioni fino al 2033 prevista dal legislatore italiano è in contrasto con il diritto europeo: il contrasto riguarda non solo le previsioni della direttiva 2006/123/CE (nota come direttiva “Bolkenstein”) ma anche più in generale alcuni dei principi fondamentali su cui si fonda il mercato da sempre il mercato comune europeo, affermati nei trattati, ossia la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi.

Di conseguenza, le concessioni in essere che beneficiano della proroga legislativa, anche nel caso in cui questa sia già stata confermata dal Comune di riferimento e persino anche nel caso in cui la legittimità della proroga sia stata confermata da una sentenza non più contestabile (“passata in giudicato”), non potranno proseguire fino al 2033.

Cosa succederà concretamente?

Il Consiglio di Stato, consapevole delle conseguenze a dir poco “caotiche” che avrebbe determinato l’immediata interruzione di tutte le concessioni demaniali considerate in vigore sulla base della proroga della legge statale, ha stabilito che gli effetti della sua pronuncia si produrranno effettivamente dal 1° gennaio 2024.

Ciò significa che, fino al 31 dicembre 2023, le concessioni esistenti potranno rimanere in effettivamente in vigore.

Da qui al 31 dicembre 2023, però, il legislatore italiano dovrà stabilire i criteri con cui i Comuni dovranno bandire le procedure di gara per l’affidamento delle nuove concessioni. Le gare dovranno considerare anche profili diversi dalla mera efficienza economica, quali – ad esempio – la politica sociale e del lavoro e di tutela ambientale, la sostenibilità sociale e ambientale del piano degli investimenti, oltre che il livello qualitativo dei servizi proposti rispetto al “minimo” obbligatorio su cui si basa la gara.

Il Consiglio di Stato auspica che anche l’ammontare del canone demaniale offerto sia considerato come criterio per l’aggiudicazione della gara. Come noto, l’ammontare attuale dei canoni delle concessioni è uno dei profili più al centro del dibattito dell’opinione pubblica: la gara deve essere quindi il contesto in cui riportare l’ammontare dei canoni ad un corretto valore di mercato, evitando al contempo il rischio opposto, ossia favorire operatori disposti a offrire somme eccessivamente alte e insostenibili ai Comuni pur di ottenere gli affidamenti.

Inoltre, la disciplina delle gare dovrà prevedere un indennizzo a tutela della posizione di “affidamento” nella continuazione della concessione da parte dei gestori “uscenti”. L’indennizzo però non potrà riguardare in modo generalizzato tutte le concessioni ma dovrà essere stabilito in ragione dell’effettivo investimento sostenuto dai concessionari che abbiano confidato nell’applicazione della proroga. I criteri di scelta dei nuovi concessionari potranno inoltre tenere in considerazione il know how sulla gestione degli stabilimenti e anche profili di interazione nel contesto turistico-ricettivo del territorio locale di riferimento. Tutti questi accorgimenti, però, non possono ovviamente tradursi in un vantaggio troppo significativo per il concessionario “uscente”, che potrà partecipare alle nuove gare.

Quanto detto finora si riflette anche sul tema fondamentale della durata delle nuove concessioni, che dovrà essere adeguata per permettere ai partecipanti di predisporre un business plan adeguato, considerando quindi il tempo necessario per il recupero dell’investimento e la remunerazione del capitale investito, con la possibilità di considerare eventualmente gli importi non ancora “recuperati” nelle gare successive, tramite il riconoscimento di un importo “di uscita” al gestore uscente nel caso in cui non sia riconfermato.

Staremo a vedere se il legislatore avrà la capacità di intervenire finalmente con una riforma completa, coerente con il dettato europeo e con il contesto attuale, tenendo conto delle specificità della situazione italiana.

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